Recensioni film in sala

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Leviamoci subito il pensiero esaminando i lievi difetti del West Side Story di Steven Spielberg, che si è cimentato con un progetto ambiziosissimo, rischioso almeno per due motivi: il musical appariva lontano dalle corde del regista e proporre un remake del classico di Robert Wise e Jerome Robbins del 1961 suonava parecchio azzardato.

Belfast

Should I stay or should I go? parafrasato attraverso la famosa canzone dei Clash del 1981, è l’interrogativo che attraversa buona parte del film di Kennet Branagh. Questa lirica, anche se non filologicamente correlata al tempo del film, rende perfettamente il quesito principale, in sospeso per buona parte della narrazione.

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Suntuoso bianco e nero per il nuovo film del pluripremiato Jacques Audiard, che cambia ancora rotta dai drammi noir a cui ci aveva abituato, per mettere in scena un racconto sentimentale, interamente centrato su cosa è l’amore oggi, per 4 giovani, a Parigi, che gravitano intorno al 13arrondisment.

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Che qualunque cosa Matt Reeves tocchi diventi magicamente oro, non è certo chissà quale rivelazione: che sia la controversa rielaborazione del kaijū eiga, il fantasmatico rifacimento di un caposaldo dell’horror moderno come Lasciami entrare o la rivisitazione solenne, ieratica e meditabonda dell’al tempo logoro e strematissimo franchise del Pianeta delle Scimmie, il nostro ha saputo infondere alla sua sorprendente e proteiforme opera - con lo sguardo di chi del cinema conosce perfettamente i tempi, il linguaggio, le sfumature e i meccanismi più segreti - nuova linfa, profondità, emozione e un crepuscolare afflato fordiano (specialmente nel capitolo conclusivo della saga delle Scimmie) che lasciava presagire solo il meglio per questo tanto agognato e più volte posticipato - causa Covid e altre amenità - reboot dell’Uomo Pipistrello: materiale che, sia detto, dopo la grandiosa trilogia dell’altalenante Nolan e la nefanda parentesi snyderiana con Ben Affleck su cui è meglio sorvolare (pur con la bella eccezione di quell’anomalo e statuario oggetto filmico che è Zack Snyder’s Justice League), era, se non difficile rinverdire, quantomeno complicato da maneggiare.

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Essere un celerino di Roma e al tempo stesso un uomo di colore, nato da una famiglia che abita uno stabile occupato, è un paradosso di proporzioni colossali, specie considerando la tradizionale vicinanza del reparto mobile antisommossa alle ideologie di estrema destra. È la situazione contraddittoria che vive il protagonista del film ll legionario, debutto del giovane regista italo-bielorusso Hleb Papou in sala dopo il fortunato passaggio al Festival del cinema di Locarno che è fruttato il premio al miglior regista emergente nella sezione Cineasti del presente. 

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