Recensioni film in sala

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"Lavorerei sempre con lei": così aveva detto il regista francese Benoit Jacquot al Torino Film Festival 2021 dove Gli amori diSuzanna Andler era stato presentato in anteprima, parlando della sua nuova collaborazione con Charlotte Gainsbourg dopo Tre cuori. Il film è tratto da una pièce di Marguerite Duras, della quale Jacquot è stato aiuto regista e grande amico in gioventù.

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Affascinante e delicato road-movie in bianco e nero, diretto e sceneggiato da Mike Mills, narra la storia di Johnny (Joaquin Phoenix), regista radiofonico, chiamato dalla sorella Viv (Gaby Hoffman) per badare a Jesse (Woody Norman), il nipote di nove anni, intanto che lei corre ad aiutare il marito, afflitto da problemi psichiatrici. L’intero film segue lo svilupparsi e la costruzione del rapporto zio/nipote, in viaggio da Los Angeles a New York, a New Orleans, intanto che Johnny porta avanti un suo progetto radiofonico, intervistando dei ragazzi, su cosa pensano del mondo, del futuro, della felicità ecc.

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Sui media si fa un gran parlare di mamme multitasking, tra stereotipi, luoghi comuni e dosi abbondanti di retorica. Poi c'è chi ne parla in modo realmente efficace come il regista e sceneggiatore Eric Gravel in Full Time - Al cento per cento, storia di una (stra)ordinaria settimana lavorativa di una donna di mezza età, alle prese con un lavoro da cameriera in un hotel di lusso, un colloquio che le potrebbe consentire di svoltare e tornare all'impiego dei suoi sogni, due figli da mantenere. A complicare il tutto in modo esponenziale, un infinito sciopero dei trasporti che trasforma i suoi trasferimenti quotidiani verso il centro di Parigi in un'autentica odissea. 

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Drive My Car, una possibile analisi

È possibile “amplificare il silenzio”? Questa strana espressione è citata all’inizio di Drive My Car, film del regista giapponese Ryusuke Hamaguchi candidato a ben quattro premio Oscar (miglior film, miglior regista, miglior sceneggiatura non originale, miglior film straniero), e rappresenta forse la domanda a cui cerca di rispondere quest’opera complessa. Parlare in poche righe di Drive My Car è impossibile: occorrerebbero non poche pagine per esplicitare tutto ciò che questo film-esperienza riesce a rappresentare in “sole” tre ore, immergendo lo spettatore all’interno dei misteri dell’interpretazione dell’opera d’arte e di tutto ciò che concerne l’umano (il lutto, il senso di colpa, le relazioni familiari, il rapporto finzione-realtà). Di un film che è un infinito gioco di specchi non si può quindi che parlare in modo riduttivo, scegliendo di percorrere solo uno dei molti sentieri che traccia. Quello del silenzio sopra citato non è che uno di questi percorsi.

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L’ultimo lungometraggio della neozelandese Jane Campion, tratto dal romanzo omonimo di Thomas Savage, s’immerge nelle atmosfere di un drammatico western, con sottili risvolti psicologici thriller. Presentato in concorso a Venezia 2021, dove ha vinto il Leone d’Argento per la miglior regia, da lì vincitore incontrastato ai Golden Globe 2022 e ai Bafta Awards 2022, in nomination agli Oscar per Miglior film, regia, attore protagonista, attrice e attore non protagonisti, sceneggiatura non originale (sempre J. Campion), fotografia (Ari Wegner) e colonna sonora (Johnny Greenwood, non a caso già dietro le musiche de Il petroliere). Distribuito da Netflix.

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