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- Scritto da Valeria Morini
- Categoria: Recensioni film in sala
- Pubblicato: 23 Agosto 2022
"Film horror in cui la caratteristica principale è la distruzione o la degenerazione graficamente rappresentata di uno o più corpi umani", si legge alla voce body horror sul dizionario Collins. Il padre di questo sottogenere è da sempre David Cronenberg, che dopo una serie di pellicole lontane da quelle suggestioni visive vi è tornato con Crimes of the Future. In un'altra epoca, il film con Viggo Mortensen, Léa Seydoux e Kristen Stewart, anticipato nel concorso di Cannes 2022, sarebbe stato uno dei più attesi dell'anno: oggi deve accontentarsi di un'uscita in sordina nelle sale italiane con Lucky Red, nei palinsesti di fine estate (su cui pure evidentemente la distribuzione italiana vuole credere) e in ritardo rispetto ad altri Paesi.
Forse il punto è che questo opus numero 22 del regista canadese (che a livello globale pare abbia incassato un decimo del budget) è fuori tempo massimo? In quello che è un vero e proprio ritorno alle origini per Cronenberg (ma non un remake del suo secondo film, che porta lo stesso titolo) l'impressione è di trovarsi di fronte a un'opera certamente suggestiva e straordinaria a livello visivo, ma non così efficace in quello narrativo.
Siamo in un futuro non lontano, in cui il corpo umano si sta evolvendo verso nuove strade: mentre una setta progetta una modificazione dell'organismo per sostituire la plastica al cibo normale, la scomparsa quasi totale del dolore fisico favorisce il proliferare di una body art estrema e radicale, dove i performer si provocano ferite deturpanti e si applicano appendici sul corpo. Tra questi, uno dei più noti è Saul (Mortensen), che mostra in pubblico il proprio organismo soggetto alla formazione di nuovi organi interni e viene affiancato dalla sua assistente e compagna di vita Caprice (Seydoux). Il loro discutibile lavoro di ricerca viene tenuto d'occhio dalla sezione investigativa dedicata, in particolare da un'agente (Stewart) a sua volta irresistibilmente affascinata dal lavoro di Saul, che sintetizza il credo di quest'epoca ambigua e curiosamente depravata: "Surgery is the new sex".
La chirurgia come stravolgimento dell'estetica dei canoni di bellezza è insomma "il segno dei tempi", per citare eXistenZ, il film di Cronenberg cui probabilmente Crimes of the Future è più associabile (ma viene in mente anche Videodrome). Non ci stupiremmo se i due film fossero ambientati nel medesimo universo, una fantascienza possibile che il regista canadese ci mostra priva di elementi futuristico-tecnologici, sporca, vagamente rétro, decadente. Geometrie essenziali e affascinanti, il grande tema cronenberghiano della dicotomia tra organico e inorganico, addirittura la messa in scena di ciò che è comunemente irrapresentabile (non a torto, il regista aveva predetto che la presenza di un bambino morto sarebbe stata respingente per molti spettatori): il tutto affascina, disturba, conferma l'indubbia qualità persistente in Cronenberg di creare un mondo visuale unico nella cinematografia contemporanea. Al tempo stesso, però, freschezza e tensione sembrano congelati in un noir viscerale ma al tempo stesso freddo, incompiuto, dal finale non totalmente convincente. Sicuramente un film da consigliare ai fan puri e duri di Cronenberg, ma non per tutti gli spettatori.
Voto: 2/4
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