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"Tutto non è abbastanza" per Paolo Sorrentino, che si conferma il regista più ambizioso del cinema italiano portando sul grande schermo la nostra figura storico-politica più discussa, Silvio Berlusconi, e dedicandogli addirittura non un solo film ma due. In sala a due settimane di distanza da Loro 1, Loro 2, più che un seguito, è a tutti gli effetti il secondo atto di un'unica opera, l'altra faccia della medaglia per un progetto che, lontano dai crismi dei biopic, scava nel privato di un personaggio controverso e, soprattutto, nel mondo che lo circonda: un ritratto, in definitiva, coraggioso e mai scontato, non grandioso quanto era stato il capolavoro Il divo su Andreotti, eppure a suo modo non meno fondamentale. Un ritratto in cui il capitolo secondo sorprende lo spettatore, costituendo un ribaltamento stilistico rispetto al primo.

Se Loro 1 era, infatti, un trionfo carnale e orgiastico tra Martin Scorsese e Harmony Korine, un'elegia del trash incentrata soprattutto sul berlusconismo e su un universo patinato e sordido di squillo, faccendieri e politici corrotti che sovrastava la stessa figura del Cavaliere (tanto da farlo entrare in scena a metà film), in Loro 2 l'ex premier è protagonista assoluto e le derive più kitsch lasciano spazio a un affresco che offre momenti di grandissimo cinema.

Addirittura, il film (proprio a rimarcare la propria natura duplice e ingannevole) si apre con lo sdoppiamento dell'enorme Toni Servillo, che alla maschera di Berlusconi affianca in una scena straniante quella di Ennio Doris (!). È solo la prima di una serie di sequenze (che preferiamo non spoilerare) destinate a diventare cult, grazie alla sceneggiatura sferzante scritta da Sorrentino con Umberto Contarello e a una potenza visiva innegabile che passa dal grottesco più feroce (con tanto di parodia corrosiva dell'immaginario televisivo dell'ultimo trentennio) al lirismo di un finale inatteso e splendido. Loro 2 è così più riuscito e maestoso di Loro 1, ma al contempo, lo ribadiamo, è impossibile non considerare tutta l'operazione come un unico lavoro.

Per mesi, nella febbrile attesa del dittico sorrentiniano, ci si è chiesti se il Berlusconi di Servillo sarebbe stato un attacco "politico" contro il Bunga Bunga e i lati oscuri dell'imprenditore, o, al contrario, l'umanizzazione del Caimano, sino a suscitare l'empatia dello spettatore. Ancora una volta, invece, il regista premio Oscar sorprende e mette da parte giudizi, condanne, o intenti storiografici. Mescolando realtà e finzione, con personaggi veri e altri fittizi, e destrutturando la narrazione dal punto di vista temporale (gli eventi narrati vanno dal 2006 al 2010, ma il film sembra ambientato in un'unica lunga lunga estate), Sorrentino confeziona un'anti-biografia su un uomo di potere al crepuscolo, sulla vecchiaia e sul patetismo di un mondo decadente, cui si contrappongono le rovine ben più concrete di una delle più grandi tragedie della recente Storia italiana. Ma è proprio tra quelle rovine, e non dal vizioso e dorato circo berlusconiano, che è possibile ritrovare la grande bellezza di una nazione, ancora non del tutto perduta.

Voto: 3/4

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