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- Scritto da Lorenzo Bianchi
- Categoria: Recensioni film in sala
- Pubblicato: 26 Ottobre 2016
Che i cinecomic stiano ormai intraprendendo una strada ripetitiva e poco entusiasmante, è un dato abbastanza evidente. Che le serie tv, in particolare quelle firmate Netflix, stessero superando in qualità i prodotti cinematografici Marvel è una situazione ormai data per assodata. Che Doctor Strange riuscisse a stupire e ad elevarsi come uno dei migliori prodotti cinematografici della Casa delle Idee, ecco, non era per nulla scontato. Ma è così, senza ombra di dubbio.
Personaggio famosissimo tra gli amanti dei fumetti, meno per il resto del pubblico, il Doctor Strange (Benedict Cumberbatch) è, in origine, uno stimato e borioso neurochirurgo che non ha in mente altro se non la sua fama e la sua carriera. Entrambe rischiano di scomparire quando, dopo un terribile incidente d’auto, rischia di perdere l’uso delle mani. Strange non riesce a darsi pace, e per farsi curare si reca in Nepal, al santuario dell’Antico (Tilda Swinton) che gli insegnerà l’arte della magia per farlo diventare il più grande stregone dell’universo.
Tratto dal’omonimo fumetto firmato Stan Lee (esilarante nel suo tradizionale cammeo) e Steve Ditko, Doctor Strange è un’opera che riesce a ridare nuova linfa vitale ad un genere che ormai sembrava aver dato tutto. O meglio, si eleva e si distacca dalla routine dei cinecomic dando un senso alla sua produzione, rivelatasi sorprendente: la migliore produzione Marvel post The Avengers, superiore anche ad alcuni dei titoli precedenti.
Fresco, gradevole, fluido, il film di Scott Derrickson si distacca nettamente da quanto visto nei precedenti cinecomic (escluso Guardiani della galassia, egualmente coraggioso e differente) grazie ad una trama solida, a tratti intensa, con interpreti di ottimo livello, su cui, chiaramente, spicca Bendict Cumberbatch. Ipnotico e carismatico, l’attore riesce a portare sul grande schermo un personaggio sfaccettato, completo, che dalla prima parte (la migliore della pellicola) in cui è un arrogante medico pieno di sé attraversa la crisi delle conoscenze, fino ad arrivare ad una nuova e umile consapevolezza. Il tutto, con estremo talento recitativo (che non si scopre certo ora) che, nonostante un doppiaggio pessimo, risulta efficace e convincente, non solo nella somiglianza fisica.
Cast a parte (ottima Tilda Swinton, meno Mads Mikkelsen), è a livello visivo che il film riesce a stupire, con soluzioni che non possono non richiamare alla mente Inception – con la realtà manipolata e i mondi che si piegano alla volontà degli stregoni – e Matrix, con le sequenze di addestamento dal sapore filosofico/orientale nel tempio. Effetti visivi e fotografia sono il pezzo forte di un’opera notevole, un film che parla del tempo e della morte, un tempo che è perso, che è amore, che è solitudine, che è altro da ciò che noi pensiamo di conoscere, un tempo da cui si fugge, un tempo che salva: sono tante le declinazioni che ne vengono presentate, tutte plausibili e coerenti, vive. Magia e arti marziali sono il tocco di action che permette di accelerare il ritmo del film, che vive anche di momenti comici e di qualche riflessione intensa, persino toccante. Bellissima e inaspettata sorpresa.
Voto: 3/4
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