third person

A due anni dalla prima mondiale al Festival di Toronto e ad oltre 12 mesi di distanza dal debutto in patria, arriva anche nelle sale italiane l'ultima fatica del regista e sceneggiatore premio Oscar Paul Haggis.

 

Quattro storie che diventano tre e progressivamente confluiscono in una sola: Haggis ha a cuore la formula di racconto corale che tanta fortuna gli ha portato con Crash e la ripropone in Third Person. Vicende che si sfiorano fino a incrociarsi, sempre in maniera insolita, dando vita a un quadro di umanità varia accomunata dalle passione, dalle sofferenze e dai conflitti irrisolti che caratterizzano il sentimento d'amore. Ciascuna storia, inoltre, vede la presenza fuori campo di un'ipotetica terza persona ovvero l'eterno ritorno di un passato oscuro e doloroso che tormenta e condiziona le esistenze dei protagonisti come un fantasma ingombrante che sembra impossibile scacciare.

Peccato però che al di là dell'interessante impostazione teorica, Haggis non riesca a dare equilibrio e coerenza ad un impianto drammaturgico confuso e macchinoso, utilizzando la coralità narrativa in modo del tutto pretestuoso e gratuito, giocando grossolanamente con gli imprevisti e le coincidenze del destino, mostrando l'artificiosità compiaciuta che cerca di compensare con il sensazionalismo emozionale la propria pochezza.

Una grande produzione internazionale cartolinesca nella rappresentazione dei luoghi e approssimativa per la caratterizzazione dei personaggi che incarnano culture altre rispetto a quella americana (con vette di goffaggine toccate nell'episodio romano), mostrando per certi versi una coerenza con l'impostazione superficiale e posticcia dell'intera operazione.

Le scene madri si accumulano, le sottotrame si moltiplicano, i personaggi secondari spuntano senza una vera ragione e la ricerca del facile patetismo diventa alla lunga stucchevole e respingente. L'eccesso melodrammatico non suscita alcuna empatia e rende esiziale un prodotto che si sforza di essere profondo e originale, ma finisce per perdersi in un lirismo grottesco e falso che sfiora spesso il ridicolo involontario, risultando stucchevole e irritante.

Si assiste, quindi, annoiati e sconsolati ad un'opera che ha poco o nulla da dire, facendo tra l'altro assai male, funestata da una scrittura inutilmente ingarbugliata e farraginosa, da una regia piatta e anonima e da una recitazione sorprendentemente pedestre. Raramente, infatti, si sono visti così tanti attori di buon livello palesemente spaesati, svogliati e propensi a dare il peggio di sé, tra macchiette sopra le righe e drammi improbabili interpretati con una seriosità decisamente fuori luogo. Da dimenticare.

Voto: 1/4

 

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