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- Scritto da Stefano Lorusso
- Categoria: Recensioni film in sala
- Pubblicato: 03 Giugno 2014
Una coppia di sposi, Leo e Megan, italiano lui e irlandese lei, torna nel paese natio del marito, in Puglia, per risolvere questioni legate all’apertura di un testamento. La scoperta che la loro eredità consiste nella antica casa di famiglia, disabitata da anni, coincide con l’inizio di una serie di strani accadimenti. Alla vecchia magione sembra essere legato un oscuro fatto di sangue che la famiglia ha da sempre tenuto segreto. Megan decide di fare luce su questa vicenda, affascinata dai misteri che popolano la controra, il momento di massimo calore negli assolati pomeriggi estivi pugliesi, in cui ai bambini è proibito uscire di casa perché i fantasmi dei defunti abitano le strade.
Insolito frutto di una coproduzione italo-irlandese, Controra è un film che sulla carta avrebbe molti elementi per poter risultare interessante, perché quantomeno innovativo rispetto a tanti clichè del cinema italiano contemporaneo: è una coproduzione internazionale, è un film di genere ed è diretto da una donna al suo primo lungometraggio. Presentato a Bari in anteprima durante lo scorso BiFest e in uscita nella sale italiane a partire dal 6 Giugno, ha invece deluso le attese in modo piuttosto plateale. Molti infatti sono i difetti imputabili alla pellicola, girata nei centri storici della provincia barese di Giovinazzo, Molfetta e Altamura e costata la cifra non così irrisoria di un milione e duecentomila euro.
Il primo problema è costituito da un fastidioso sentore di esotismo da cartolina che accompagna la rappresentazione, chiaramente turistica, della Puglia: ulivi inondati dal sole, cattedrali, paesani indolenti, familismo amorale e un grumo di ataviche superstizioni e credenze popolari dure da smaltire. Il secondo, più grave, passo falso la regista lo compie nel volersi ispirare alla gloriosa tradizione dell’horror italiano (di Avati in primis, ma anche di Argento, Bava e Fulci) confezionando, nei fatti, un thriller paranormale a tratti imbarazzante: recitazione approssimativa, scelte di sceneggiatura banali e prevedibili, improbabili e repentini colpi di scena, abusati luoghi comuni del genere. Terzo e ultimo tassello di questa maldestra operazione è un osceno e inutile doppiaggio. L’impressione è che il film, nella quasi totalità delle sue battute, sia stato recitato in presa diretta in inglese e successivamente, in fase di post-produzione, doppiato in italiano con tanto di posticcio accento anglosassone affibbiato alla cerea protagonista femminile, irlandese di nascita. Troppi quindi i punti a sfavore per un film che di certo, purtroppo, non segnerà la rinascita del cinema di genere italiano, e che anzi farà rimpiangere ancora una volta lo sguardo dei grandi Maestri del passato.
Voto: 1/4
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