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- Scritto da Nicolò Barretta
- Categoria: Recensioni film in sala
- Pubblicato: 04 Novembre 2013
Dopo l’intrigante La donna che canta (Incendies, 2011) il regista franco-canadese Denis Villeneuve torna dietro la macchina da presa con Prisoners che, oltre a segnare la sua prima trasferta americana, annovera un cast prestigioso.
Protagonista della storia è Keller Dover (Hugh Jackman) che si trova ad affrontare il peggiore incubo per un genitore: sua figlia di sei anni, Anna, scompare insieme alla sua amica Joy e, mentre i minuti diventano ore, il panico prende il sopravvento.
L’indizio principale è un camper fatiscente parcheggiato nella loro strada.
A capo dell’investigazione c’è il Detective Loki, (Jake Gyllenhaal) che ne arresta il proprietario, Alex Jones (Paul Dano), ma la mancanza di prove lo costringe al suo rilascio.
Mentre la polizia segue diverse piste, l’ansia sale sempre più e sapendo che è in gioco la vita di sua figlia, Dover in preda all’isteria decide di non avere altra scelta che quella di prendere in mano la situazione. Ma fino a dove si spingerà questo padre disperato, per proteggere la sua famiglia?
Scritta da Aaron Guzikowski, la sceneggiatura di Prisoners è molto compatta e contiene al suo interno imprevedibili svolte narrative.
Attraverso una sontuosa fotografia (ad opera di Roger Deakins) Villeneuve svicola qualsiasi forma di sfruttamento del dolore, senza ricorrere a pesanti simbolismi, concentrandosi invece sulle conseguenze psicologiche che il rapimento arreca alle due famiglie coinvolte.
La reazione di Keller Dover è semplicemente quella di un uomo disperato per la perdita della sua bambina, che fa di tutto per rendersi forte agli occhi della moglie e del figlio adolescente, ordendo un azzardato piano segreto.
Ad impersonare Keller Dover ci pensa Hugh Jackman in una delle prove più convincenti della sua carriera: il suo è un personaggio profondamente fisico ed emotivo, che da solo muove i fili dell’avvincente narrazione.
Il detective Loki, interpretato da Jake Gyllenhaal, è l’opposto: in apparenza distaccato, ossessionato dal suo lavoro, ma disposto a qualsiasi cosa pur di risolvere il caso.
Da menzionare anche le prove dei comprimari: Paul Dano nei panni dello scapestrato Alex, disturbato e ambiguo, Melissa Leo, in quelli della zia segnata dalle ferite della vita, e Terence Howard e Viola Davis nei panni dei Birches, perfetto contraltare all’aggressività di Keller.
Tuttavia l’opera, pur mantenendo la tensione serrata per tutto l’arco degli eventi, scivola nei soliti clichès tipici del cinema hollywoodiano, come nella sequenza in cui il detective Loki compie una corsa disperata in auto, e alcuni dialoghi forzati che nei momenti più drammatici della diegesi risultano troppo costruiti e stereotipati.
Proprio per questi motivi, nonostante l’ottimo stile registico sfoggiato da Villeneuve, il giudizio sul film si ferma al discreto e niente più.
Voto: 2,5/4
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