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- Scritto da Andrea Chimento
- Categoria: Recensioni film in sala
- Pubblicato: 20 Giugno 2013
Niente da fare: la maledizione di Superman continua.
I due principali attori che hanno indossato il costume blu del “primo di tutti i supereroi” sono stati segnati da gravi tragedie: George Reeves, protagonista della serie anni ’50 Adventures of Superman, si è suicidato a soli 45 anni; il compianto Christopher Reeve, scomparso nel 2004, ha vissuto gli ultimi anni di vita su una sedia a rotelle, tetraplegico, dopo una brutta caduta da cavallo.
A distanza di vent’anni dall’ultima apparizione, Superman è tornato sul grande schermo nel 2006 per la regia di Bryan Singer: un mezzo flop, con incassi al di sotto delle aspettative, recensioni non certo benevole e un attore (Brandon Routh) che ha visto la sua carriera arenarsi drasticamente.
Le speranze erano tante con questo L’uomo d’acciaio, visto il nome di Zack Snyder (che un buon film in carriera l’ha fatto) e, soprattutto, quello di Christopher Nolan come produttore esecutivo che, dopo aver ridato linfa cinematografica a Batman, si sperava potesse ripetere il miracolo con l’alieno venuto da Krypton.
Bastano però pochi minuti per ridimensionare ogni aspettativa: una prima sequenza, in cui nasce il piccolo Kal-El, eccessivamente enfatica, calcata, poco naturale che, in qualche modo, rappresenta perfettamente il resto della visione.
C’è da dire che Snyder & co s’impegnano per dare dignità al proprio prodotto: flashback, costruzioni narrative complesse, attori dai nomi importanti (Michael Shannon in primis) ma purtroppo nessuna ciambella delle tante in preparazione nel corso della visione riesce col buco.
L’uomo d’acciaio ha, complessivamente, una prima parte mediocre ma, proprio quando si spera che si possa raggiungere un livello più elevato, ogni speranza crolla miseramente.
Continui scontri aerei tra l’eroe e i nemici (a proposito, il 3d è oltre la soglia dell’inutilità totale) sono il fulcro (l’unica idea!) del secondo tempo portando noia e sbadigli al posto della necessaria e richiesta spettacolarità.
La narrazione procede piatta, senza lasciare nulla al suo pubblico che già non sappia, senza lasciare allo spettatore un minimo di meraviglia e di stupore che si richiederebbe a un prodotto di questo tipo.
Forse è proprio il personaggio di Superman una figura inadatta alla contemporaneità, con “cattivi” vintage che non hanno lo spessore di quelli contro cui si scontrano altri supereroi.
Non è un caso che il solo momento riuscito, delle oltre due ore di durata, sia una sequenza in cui non c’entrano effetti speciali e superpoteri, ma solo una drammatica e disperata umanità: Jonathan Kent (un toccante Kevin Costner, chiaramente il migliore in campo) alza una mano per intimare al figlio Clark di fermarsi, è pronto a morire in mezzo a un uragano pur di salvare (dai media, dalle voci, dal mondo intero che avrebbe scoperto i suoi potere) quel ragazzo che diversi anni prima era caduto dal cielo, atterrando vicino alla sua piccola fattoria in un villaggio sperduto del Kansas.
Voto: 1,5/4
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