Diavoli

Preceduta da una grande campagna promozionale, Diavoli si è imposta all'attenzione come una delle serie più importanti del 2020, una produzione Sky Original molto attesa per il bel mix tra la componente italiana e quella internazionale. Di produzione italo-francese ma girata prevalentemente a Londra, tratta dal romanzo I diavoli di Guido Maria Brera (che, per intenderci, è anche il marito della conduttrice Caterina Balivo), schiera come protagonisti Alessandro Borghi, al suo primo ruolo in inglese, e Patrick Dempsey. Tra realtà e fantasia, è un ritratto dello spietato mondo della finanza e delle sue dinamiche  complesse, machiavelliche e spesso aberranti che tengono in scacco l'economia mondiale, con conseguenze talvolta nefaste. Insomma, le premesse per un prodotto notevole c'erano tutte.

A dispetto della sue velleità, invece, Diavoli si rivela sostanzialmente deludente, una produzione che, pur non priva di elementi interessanti, finisce per essere paradossalmente schiacciata dalla sua stessa ambizione. Patinatissima e suggestiva per le sue ambientazioni ricercate, la serie creata da Ezio Abbate si pone l'obiettivo di svelare gli intrighi del mondo bancario e racconta una sorta di cospirazione globale sottesa a eventi noti come lo scandalo Strauss-Kahn, la guerra in Libia e la crisi dei PIIGS (si ambienta nel 2011 con flashback riferiti agli anni precedenti).

Un universo feroce e sconfinante nel criminale - di mezzo c'è anche un delitto - quanto fumoso e ostico, in cui lo spettatore si ritrova invischiato in una serie di tecnicismi che vanno dal lessico finanziario (lo short selling, vero e proprio mantra della narrazione) a quello dell'hacking, oggettivamente difficoltosi per chi è a digiuno sull'argomento.

Sotto questa superficie complessa ma effettivamente affascinante che ci porta dentro il lato oscuro del denaro e del potere, continuamente rimbalzati tra finzione e realtà (gli inserti di repertorio sono la componente più magnetica della serie), Diavoli rivela in realtà una trama convenzionale e già vista innumerevoli volte. La storia dell'ambizioso Massimo Ruggero (Borghi) che, una volta aperti gli occhi sul marciume che lo circonda, si rivolta contro il mentore Dominic Morgan (Dempsey) e complotta alla ricerca di una (inutile?) redenzione è l'ennesima rilettura del conflitto edipico padre contro figlio o, se vogliamo, di quello Davide contro Golia. Anche i personaggi collaterali, dal giovane rampante proveniente dai quartieri disagiati (Malachi Kirby) all'attivista anarchica e idealista (Laia Costa), passando per la moglie di Dominic segnata dal lutto (Kasia Smutniak), non risultano particolarmente originali.

Il vero problema di Diavoli non sta però nel suo essere un thriller derivativo che sciacqua elementi del crime e della spy story nelle torbide acque della finanza, quanto il fatto che una storia potenzialmente intrigante risulti appesantita da una regia scialba e manierista, che abusa di ralenti, montaggio da spot pubblicitario, inutili monologhi fuori campo. L'approccio ai personaggi, talvolta retorico, ne disinnesca la forza: Borghi, per quanto ci provi, dà vita a un personaggio troppo freddo per suscitare fino in fondo empatia con lo spettatore.

Alcune interpretazioni, poi, non funzionano: la Costa, spiace dirlo, non convince quanto a recitazione, mentre Dempsey, e qui spiace ancora di più, è fuori parte. Non resta che attendere la seconda stagione (che, come già annunciato, dovrebbe aprirsi con un prologo contemporaneo ai tempi della pandemia) per capire se tali difetti saranno replicati o se Diavoli troverà la quadra per gareggiare davvero con le migliori serie internazionali.

Voto: 2/4

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