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- Scritto da Lorenzo Bianchi
- Categoria: Serie tv
- Pubblicato: 20 Marzo 2017
Se si esclude Daredevil – che mantiene un tasso qualitativo eccellente dal primo episodio della prima stagione all’ultimo della seconda – tutti le serie Marvel firmate Netflix (Jessica Jones e Luke Cage) sono come dei diesel: partono lenti, facendo ambientare lo spettatore nel setting prescelto, permettendogli di conoscere i personaggi, per poi accelerare nella seconda metà della stagione arrivando al top nel finale. Iron Fist non fa eccezione in questo, anche se è una produzione distante dalle altre, molto più vicina all’action puro che all’approfondimento sul personaggio, benché comunque sia presente quest’ultimo aspetto. Convincendo, ma non completamente.
Preso come serie action, infatti, funziona perfettamente, dando una lezione di sceneggiatura e fotografia ai produttori delle diverse serie – soprattutto firmate DC Comics – presenti ora su piccolo schermo, Arrow su tutte. Iron Fist riesce a coniugare arti marziali ad una fase riflessiva e zen propria del protagonista, le cui azioni, all’inizio, sono scandite da un ritmo hip-hop old school caratterizzante e ben studiato. La trama è solida – benché a tratti abbastanza sbrigativa, con alcuni passaggi resi troppo frettolosamente – ed è ricca di azione, combattimenti e, perché no, qualche piccolo colpo di scena capace di rinnovare l’interesse con il passare degli episodi. Ma 13 ore (questa la durata complessiva) sono effettivamente molte, eppure nella sua leggerezza – qui la grossa differenza con Daredevil e Jessica Jones, per esempio, molto più profondi e densi di significati – la serie scivola liscia come intrattenimento per lo più spensierato e senza alcuna eccessiva pretesa contenutistica.
Nulla di male, sia chiaro, se non fosse che dopo le serie precedenti è assolutamente lecito aspettarsi qualcosa in più. Un villain all’altezza, ad esempio. Dopo il Kingpin di Vincent D’Onofrio, l’inquietante Kilgrave di David Tennant, e il Cottonmouth di Mahershala Ali (fresco vincitore del premio Oscar come Miglior attore non protagonista per Mooonlight), il “cattivo” della serie è tutt’altro che convincente, a tratti quasi impalpabile. A meno che, certo, non si consideri il vero nemico la perfida Gao (Wai Ching Ho), trafficante di eroina della Mano già presente in Daredevil. Non solo, anche lo stesso Danny Rand/Iron Fist manca spesso del carisma necessario richiesto al protagonista, soprattutto durante le sequenze di combattimento, coinvolgenti, ma girante senza la cura registica necessaria ad elevarle a qualcosa di superiore al puro intrattenimento. Messo affianco agli altri, rischierà di non notarsi. Inoltre, il passato del giovane Danny viene rivelato poco a poco, ed è sicuramente un bene, ma restano comunque alcuni interrogativi irrisolti dopo essere stato totalmente svelato.
Resta quindi l’impressione di una produzione riuscita a metà, indubbiamente in grado di svagare e di costituire ottimo intrattenimento, soprattutto per gli amanti del genere, ma che non riesce a dare qualcosa in più per innalzarsi qualitativamente. Non ci sono virtuosismi registici, la fotografia è ottima – la sequenza del duello sotto un temporale scrosciante è notevole – ma classica, i movimenti di macchina sono curati, ma senza regalare nulla di straordinario, senza cercare davvero di coinvolgere e di emozionare. Ma si parla di ricerca della perfezione, di un livello che forse neanche ci si era prefissati di raggiungere, perché comunque Iron Fist, pur non arrivando al livello delle altre Marvel/Netflix resta un godibile divertissement, per ingannare l’attesa. In vista di Defenders.
Voto: 2/4
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