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GLORY (SLAVA) di Kristina Grozeva, Petar Valchanov (2016) - Concorso internazionale

Sembra davvero una delle cinematografie emergenti del momento quella bulgara, nella quale la coppia registica formata da Kristina Grozeva e Petar Valchanov rientra tra i nomi più rappresentativi. Dopo l'interessante The Lesson, uscito anche nelle sale italiane, il duo torna a riflettere con amarezza e ironia agrodolce sulla contemporaneità del loro Paese in Slava (titolo internazionale Glory), presentato nel concorso del 69esimo Festival di Locarno. La storia è quella dell'umile manovale ferroviario Tsanko Petrov (Stefan Denolyubov), che un gesto di rara onestà - trova un'enorme somma di denaro sui binari e la consegna alla polizia - trasforma in eroe popolare (e populista), osannato dal Ministero dei trasporti e dall'ipocrita politica statale. L'addetta stampa Julia (Margita Gosheva), cinica donna in carriera, smarrisce però l'orologio cui Tsanko è ostinatamente affezionato, innescando una piccola odissea in cui l'uomo cerca di riottenere il prezioso oggetto e, soprattutto, la sua dignità. L'evidente simbolismo non intacca la portata realista di questo racconto che pare uscito da una pagina di Gogol e che offre un corrosivo ritratto sociale, forse meno potente di The Lesson, ma alleggerito dal rischio retorica grazie a una vena sarcastica pungente. La notevole presenza scenica di Denolyubov si affianca a quella della Gosheva, impegnata in un ruolo diametralmente opposto a quello del precedente film e che si conferma ottima inteprete. 

Voto:2,5/4

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THE LAST FAMILY (OSTATNIA RODZINA) di Jan P. Matuszyński (2016) - Concorso internazionale

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Zdzisław Beksiński (1929-2005) è stato tra i pittori più importanti nella scena polacca, autore di opere surrealiste straordinarie quanto angoscianti. The Last Family, tra i titoli in concorso a Locarno, è il biopic che ne ricostruisce la  vita personale, l'uomo dietro il genio alle prese con un figlio asociale, inquieto e dalle tendenze suicide (Tomasz Beksiński, anche lui celebre come speaker radiofonico, giornalista musicale e doppiatore cinematografico). La complessa storia politica del Paese è volontariamente lasciata da parte, così come la stessa arte del protagonista, relegata in scarne apparizioni dei suoi celebri quadri. Al regista 32enne Jan P. Matuszynski, al suo esordio nel lungometraggio dopo diversi corti e il documentario Deep Love, interessa indagare la quotidianità bislacca e disfunzionale dell'artista e le sue ossessioni (la riproducibilità della realtà, non solo su tela, ma nella fisima del filmare ogni momento della vita, morte compresa). In toni realisti che sconfinano spesso nel grottesco e nell'umorismo nero, si procede per scene brevi giustapposte in un romanzo familiare intimista racchiuso tra le mura di due appartamenti e lungo quattro decenni (fino alle tragedie che contraddistinsero gli ultimi anni di Beksiński) dove le bizzarre turbe di padre (Andrzej Seweryn) e figlio (Dawid Ogrodnik) sono a malapena contenute dalla paziente moglie/madre Zofia (Aleksandra Konieczna). Un prodotto interessante e diretto con spigliata abilità dal giovane Matuszynski, ma che pecca di ripetitività ed eccessiva lunghezza, spesso estenuante per quanto capace di guizzi.

Voto:2/4

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