Locarno 2016

pardo-doro

Il 69esimo Festival di Locarno ha assegnato tutti i premi del Palmares, attribuiti nella serata di chiusura del 13 agosto in Piazza Grande. Ecco l'elenco completo, con il massimo riconoscimento, il Pardo d'Oro, assegnato a Godless di Ralitza Petrova.

CONCORSO INTERNAZIONALE

Pardo d’oro
GODLESS di Ralitza Petrova, Bulgaria/Danimarca/Francia
 
Premio speciale della giuria
INIMI CICATRIZATE (Scarred Hearts) di Radu Jude, Romania/Germania
 
Pardo per la miglior regia
JOÃO PEDRO RODRIGUES per O ORNITÓLOGO, Portogallo/Francia/Brasile
 
Pardo per la miglior interpretazione femminile
IRENA IVANOVA per GODLESS di Ralitza Petrova, Bulgaria/Danimarca/Francia
 
Pardo per la miglior interpretazione maschile
ANDRZEJ SEWERYN per OSTATNIA RODZINA (The Last Family) di Jan P. Matuszyński, Polonia Menzione speciale MISTER UNIVERSO di Tizza Covi, Rainer Frimmel Austria/Italia
 

I daniel blake

Newcastle: Daniel Blake (Dave Johns) è un carpentiere sulla sessantina che a seguito di un infarto viene dichiarato dal suo medico non idoneo a lavorare. Non la pensano allo stesso modo i Servizi Sociali, contro cui l’uomo si trova costretto a combattere per vedersi riconosciuta l’indennità di malattia. Nel corso di questa sfiancante quanto avvilente battaglia i passi di Daniel si incrociano con quelli di Katie (Hayley Squires), giovane ragazza madre con due figli e senza un lavoro. Uno schermo nero, due voci fuori campo che discutono: da un lato una giovane assistente sanitaria, rigida e impostata, seccata nel sentirsi messa in discussione dalle repliche schiette e vivaci di Daniel, di cui conosciamo i problemi ancora prima del volto.

Possiamo dire che questo incipit racchiuda in sé tutto il significato più completo di I, Daniel Blake, il nuovo film di Ken Loach già vincitore della Palma d'Oro all'ultimo Festival di Cannes e presentato anche in Piazza Grande al Festival di Locarno:  l’estenuante lotta delle classi meno abbienti contro un apparato istituzionale sempre più meccanizzato e disumanizzato, incapace di tendere la mano a chi ne ha davvero bisogno e diritto perché votato alle regole ferree ed inviolabili della burocrazia.

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DONALD CRIED di Kris Avedisian (2016) - Concorso Cineasti del presente

God Bless America? In tempi in cui Trump rischia di governare la Casa Bianca per il prossimo quadriennio, sono ben altri gli auguri che viene voglia di indirizzare agli Usa. Una cosa è certa, però: Dio benedica il cinema indipendente americano. Intendiamoci, questo Donald Cried, presentato al Festival di Locarno nella sezione forse più interessante della kermesse (Cineasti del presente, sguardo sui nuovi volti del panorama filmico internazionale) non è nulla di nuovo rispetto all'ormai classico genere della commedia intimista e al buddy movie dal sapore nostalgico cui tanto cinema off Hollywood ci ha abituati negli anni. Ma la delicatezza e l'intelligenza con cui l'esordiente Kris Avedisian adatta a lungo un suo precedente cortometraggio rendono il film una delle sorprese più deliziose della manifestazione elvetica. Regista, sceneggiatore e attore protagonista, Avedisian (nome inequivocabilmente di origine armena, a ribadire ancora una volta come il multiverso cinematografico a stelle e strisce è fatto di infinite radici etnico-culturali) imbastisce un racconto generazionale sul classico "ritorno alle origini" dell'operatore finanziario Peter (Jesse Wakeman), che da Manhattan si ritrova catapultato nella cittadina natale a distanza di 15 anni per la morte della nonna, spaesato tra le nevi del proletario Rhode Island e privato del portafogli. A giungergli in soccorso è il suo passato adolescenziale nelle fattezze del vecchio amico Donald (Avedisian), eterno Peter Pan stralunato e logorroico il cui candore infantile è tanto tenero quanto stramboide. Senza fronzoli, lungaggini e retorica, Donald Cried scivola con leggerezza e delinea un malinconico ritratto di amicizia virile dal retrogusto amaro, che lascia un piccolo ma significativo segno in una cinematografia destinata a restare anni luce lontana dalle sale italiane.

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GLORY (SLAVA) di Kristina Grozeva, Petar Valchanov (2016) - Concorso internazionale

Sembra davvero una delle cinematografie emergenti del momento quella bulgara, nella quale la coppia registica formata da Kristina Grozeva e Petar Valchanov rientra tra i nomi più rappresentativi. Dopo l'interessante The Lesson, uscito anche nelle sale italiane, il duo torna a riflettere con amarezza e ironia agrodolce sulla contemporaneità del loro Paese in Slava (titolo internazionale Glory), presentato nel concorso del 69esimo Festival di Locarno. La storia è quella dell'umile manovale ferroviario Tsanko Petrov (Stefan Denolyubov), che un gesto di rara onestà - trova un'enorme somma di denaro sui binari e la consegna alla polizia - trasforma in eroe popolare (e populista), osannato dal Ministero dei trasporti e dall'ipocrita politica statale. L'addetta stampa Julia (Margita Gosheva), cinica donna in carriera, smarrisce però l'orologio cui Tsanko è ostinatamente affezionato, innescando una piccola odissea in cui l'uomo cerca di riottenere il prezioso oggetto e, soprattutto, la sua dignità. L'evidente simbolismo non intacca la portata realista di questo racconto che pare uscito da una pagina di Gogol e che offre un corrosivo ritratto sociale, forse meno potente di The Lesson, ma alleggerito dal rischio retorica grazie a una vena sarcastica pungente. La notevole presenza scenica di Denolyubov si affianca a quella della Gosheva, impegnata in un ruolo diametralmente opposto a quello del precedente film e che si conferma ottima inteprete. 

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L'ex agente segreto e sicario della CIA Jason Bourne (Matt Damon) vive da fuggitivo in giro per il mondo, mentre l'agenzia governativa non ha ancora smesso di dargli la caccia per eliminarlo. Grazie all'aiuto dell'amica Nicky Parsons (Julia Stiles), Bourne scopre un ulteriore verità sul suo conto di cui la CIA potrebbe essere responsabile e con cui sarà costretto a fare nuovamente i conti.

Cinque anni dopo The Bourne Legacy, lo spinoff con protagonista Jeremy Renner, torna la saga cinematografica di Jason Bourne ispirata ai romanzi di Robert Ludlum, con il quinto capitolo della serie e seguito diretto di The Bourne Ultimatum – Il ritorno dello sciacallo del 2007, che vede il ritorno di Matt Damon nei panni di Bourne nove anni dopo l'ultima volta, assieme al ritorno in regia di Paul Greengrass, già dietro la macchina da presa per The Bourne Supremacy e The Bourne Ultimatum.

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