I classici
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- Scritto da Nicolò Barretta
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"Certo l'ultima causa dell'essere non è la felicità; perocchè niuna cosa è felice. Vero è che le creature animate si propongono questo fine in ciascuna opera loro; ma da niuna l'ottengono: e in tutta la loro vita, ingegnandosi, adoperandosi e penando sempre, non patiscono veramente per altro; e non si affaticano, se non per giungere a questo solo intento della natura, che è la morte" (Giacomo Leopardi)
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Chissà cosa deve aver pensato Steven Spielberg quando, dopo 1964: Allarme a New York arrivano i Beatles (introvabile, del 1978), ha deciso di produrre per Robert Zemeckis un film che parla di un adolescente e di uno strambo dottore che viaggiano nel tempo su una DeLorean. Follia? Forse, ma a distanza di 27 anni, di Ritorno al Futuro si parla ancora, e mai si smetterà di farlo.
Le vicende di Marty McFly (Michael J. Fox) e del Dottor Emmet “Doc” Brown (Christopher Lloyd) sono infatti tra le più ammirate e conosciute di tutta la storia del cinema, una storia che l’accoppiata Spielberg Zemeckis è riuscita a rivoluzionare. Il primo film della trilogia è forse il più bello – anche se è dura decidere – e narra le vicende di Marty, un impacciato liceale, che si vede costretto a tornare nel passato per salvare il suo strampalato amico Doc, che è riuscito ad inventare una macchina del tempo. Marty si accorgerà delle enormi somiglianze esistenti tra la sua vita e quella dei suoi genitori, in un ingranaggio perfetto che permette di scoprire come suo padre sia diventato schiavo del suo capufficio Biff Tannen (il villain della trilogia) e di come in realtà si siano conosciuti i suoi. In tutto questo Marty dovrà fare attenzione: ciò che modifica il passato, necessariamente crea conseguenze anche nel presente, e non mancheranno quindi le gag comiche e le situazioni paradossali dovute alla discrepanza temporale tra i protagonisti della storia, su cui non può che spiccare la sequenza in cui McFly suona Johnny Be Good, di Chuck Berry, di fronte ad attoniti studenti degli anni ’50.
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- Scritto da Stefano Lorusso
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“In Keaton l’espressione è semplice come quella di una bottiglia, ma la bottiglia e il viso di Keaton possiedono punti di vista infiniti”. Così Luis Bunuel commentava l’essenza della comicità senza sorriso di Buster Keaton. Il volto di Keaton come una maschera in cui è possibile leggere infinite variazioni, modulazioni, sfumature espressive. Il più grande erede ed interprete europeo della lezione di Buster Keaton è stato probabilmente Jacques Tati. Riscoprire la grandezza del suo capolavoro “ultimo”, lo straordinario Playtime, significa avventurarsi dentro il miracolo di una visione unica e totale. Perché mai più ripetuta e ripetibile, anche a causa del titanico sforzo produttivo posto in essere per girare il film. E perché nella sua grammatica filmica rinuncia completamente a primi piani e dettagli, perseguendo la strada della osservazione ampia.
Il campo totale di Tati, come la faccia di Buster Keaton, è uno spazio aperto in cui far correre lo sguardo, un “testo” con più tracce sincrone offerte alla nostra lettura. Il campo totale in Playtime è anche la scelta linguistica che consente a Tati di raggiungere l’obiettivo di una visione quanto più simile a quella dell’occhio umano sulla realtà. Ed è all’occhio e all’intelligenza dell’uomo/spettatore che Tati affida il compito della messa a fuoco dinamica, del discernimento fluido, della selezione in tempo reale di cosa guardare nella complessa struttura delle sue inquadrature. Profondità di campo, schermo panoramico, vetri riflettenti. Tutto in Playtime contribuisce a dilatare lo spazio della visione, affidando allo spettatore la responsabilità e la fatica di cercare il dettaglio all’interno di una dimensione allargata.
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- Scritto da Erica Francesca Bruni
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Bellissima è il terzo lungometraggio viscontiano. È completamente costruito attorno al personaggio di Maddalena Cecconi, una popolana del Prenestino, interpretata da Anna Magnani, una delle più grandi attrici italiane.
Quando Maddalena viene a sapere, attraverso un annuncio radiofonico, che la Casa di produzione Stella Film bandisce un concorso tra le bimbe di Roma per l'interpretazione di un nuovo film del regista Alessandro Blasetti, porta a Cinecittà per le selezioni la figlia Maria.
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- Scritto da Simone Soranna
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Ma Pilato risponde a Gesù: "E che cos'è la verita?" (Gv 18, 38)
«Non c’era niente di vero. - Tu eri vero: per questo era così bello guardarti»
( Truman e Cristof, The Truman Show)
Tra i tanti pregi di questa pellicola, sicuramente non secondario è quello di riuscire a parlare a tutti. Weir costruisce un’opera commerciale, vendibile ovunque e a qualsiasi fascia d’età o pubblico.
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