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- Scritto da Simone Soranna
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Oggi più che mai, con il grande impiego del digitale, l’invasione della prospettiva videoludica al cinema, l’impiego della terza dimensione, il fotorealismo e chi più ne ha più ne metta, ha senso interrogarsi sul cinema d’animazione .
Innanzitutto, cosa intendiamo con questa nozione?
Cominciamo dal principio. Per animazione si intende un qualsiasi movimento di un qualsiasi oggetto visto sullo schermo che, concretamente, non sarebbe stato possibile realizzare. Il primo King Kong del 1933 così come l’ultimo di Peter Jackson del 2005, sono entrambi frutto di tecniche d’animazione. Per il primo caso parliamo di stop motion, per il secondo di motion capture, ma sempre di animazione si tratta. Eppure nessuno definisce quei film come film d’animazione. Non sono “cartoni animati”. Sono film girati in live action con l’aggiunta di alcuni effetti speciali. Perfetto. Ma possiamo dire lo stesso di Avatar, oppure della trilogia de ll Signore Degli Anelli, o dei recentissimi Gravity e Vita Di Pi? Sono esempi questi di pellicole in cui l’impiego delle tecniche d’animazione, supera in percentuali l’impiego del live action. Diciamo che potrebbero essere definiti come dei “cartoni animati” con l’impiego di alcuni “effetti live action”.
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- Scritto da Andrea Chimento
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Sono ormai più di due anni che sono nati i-FilmsOnline ed è arrivato il momento di presentare una nuova sezione, gli “editoriali”, un appuntamento (non solo mensile) che verterà su temi d’attualità cinematografica di ogni tipo, anche a richiesta dei lettori se saranno interessati e vorranno suggerirne. Il fine è quello di coinvolgere gli appassionati e di suscitare discussioni, polemiche, interessi che vadano oltre ai commenti legati a un semplice giudizio di un film o di una classifica.
Insomma, in attesa di vostri commenti e suggerimenti, con fatica e determinazione, proveremo anche noi ad alzare l’asticella giocando a fare la rivista specializzata.
Fatta la dovuta introduzione, in attesa di contributi più specifici, in qualche modo bisogna incominciare.
Si potrebbe comodamente parlare di Nymphomaniac, anticipando (o, visto che ormai quasi tutti sono già riusciti a vederlo, posticipando) le discussioni che da sempre ruotano attorno al nome di Lars von Trier e che non mancheranno di certo in seno al suo prossimo lavoro.
Forse però è più interessante guardarsi indietro, poiché questo (tentativo di) editoriale nasce al termine di uno dei mesi più scarsi, cinematograficamente parlando, degli ultimi anni.
In mezzo ai tanti titoli carenti usciti in marzo (salvo per Ida e pochissimi altri), a svettare è stato L’impostore di Bart Layton, presentato al Sundance 2012 e finalmente arrivato nelle sale italiane.
Un documentario? Sì, nell’accezione più ampia e (post-post) moderna possibile.
Layton è partito innanzitutto da una storia (vera) particolarmente affascinante e ormai del tutto nota. Ha intervistato i protagonisti (doc?) e ha ricostruito (fiction?) le parole (reali o fittizie?) dell’impostore con degli attori.
Tra verità e menzogna (già, proprio come il sottotitolo di F come falso di Orson Welles), il regista ha costruito uno dei thriller più angoscianti degli ultimi anni, capace di tenere incollati allo schermo fino al termine dei titoli di coda.
È certo che vedendo L’impostore si assiste a una struttura drammaturgica che, se non nuova, è quantomeno originale e coinvolgente: non è però un caso isolato.
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