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- Scritto da Lorenzo Bianchi
- Categoria: Editoriali
- Pubblicato: 15 Marzo 2017
Aveva iniziato Tim Burton, nel 2010, con una sua personale rivisitazione di Alice in Wonderland. Siamo nel 2017 e Bill Condon – con Stephen Chbosky alla sceneggiatura, da (non) dimenticare – presenta in sala La Bella e la Bestia. 7 anni. 7 anni in cui ci si è divertiti a riproporre i capolavori d’animazione Disney in versione live action e, ad oggi, non se ne è ancora capita totalmente la necessità, alla luce della qualità delle opere in causa, anche se, in realtà, è un discorso che si potrebbe fare ad ampio raggio, con il cinema in generale, vista la quantità di reboot presenti o in produzione. Certo, ci sono eccezioni, come la Cenerentola di Kenneth Branagh, cui il regista ha dato un taglio personale proponendo una favola classica e godibile, senza snaturare personaggi e riuscendo anche a dar vita a sequenze di discreta fattura (la fuga allo scoccare della mezzanotte, ad esempio). Non va inoltre dimenticato Jon Favreau, che ha raggiunto l’apice negli adattamenti, con una versione visivamente incantevole e coinvolgente del Libro della Giungla, premiato anche agli ultimi Oscar.
In realtà, a ben pensarci, prima di Tim Burton ci aveva pensato Stephen Herek a portare nelle sale La Carica dei 101, che nel titolo nostrano aveva anche un paradossale “Questa volta la magia è vera”, che poco aveva di onesto pensando all’effettiva qualità della pellicola, soprattutto se rapportata al Classico originale. Restando in tema, per il 2018 è previsto (ma in pre-produzione, per cui tutto può ancora succedere) Cruella, con Emma Stone fresca di Oscar nel ruolo della protagonista: si riuscirà a fare peggio di Maleficent? Probabilmente la pellicola con Angelina Jolie è il peggior adattamento che sia stato creato, con l’attrice perfetta nella parte della strega... buona, gentile e compassionevole? Snaturare Malefica per edulcorare e infarcire di retorica una trama perfetta (quella del Classico La bella addormentata nel bosco, naturalmente) è quasi imperdonabile. Eppure, si vocifera che avrà addirittura un sequel. Il 2012, inoltre, è stato l’anno di Biancaneve, con la versione di Tarsem Singh incentrata sulla figura della matrigna (Julia Roberts) e con quella di Rupert Sanders, che opta per la trasformazione dell’ingenua fanciulla in una sorta di paladina fantasy, nell’ottica dell’emancipazione femminile dalla figura del principe.
Per il futuro non mancano i titoli e sono scelte che con ogni probabilità faranno molto discutere, a partire da Mary Poppins Returns, con Emily Blunt nei panni della tata, ma non solo: Mulan, Tink, Winnie the Pooh, Pinocchio, Genies, Aladdin, La Spada nella Roccia, Peter Pan, La Sirenetta e Il Re Leone. L’animazione, soprattutto dal lato Pixar (anche se con Zootropolis si sono raggiunti nuovamente livelli molto alti nei Classici) continua a funzionare – si attende il prossimo Coco – e quindi ci si chiede per quale motivo cercare di “dare vita” a opere che di anima già ne avevano, al punto da rimanere immortali.
Ma, commenti estetici e artistici a parte, è sulla ragione di queste opere che ci si interroga: pellicole che lasciano l’amaro in bocca a chi ama l’animazione, quel filone di Classici e capolavori che ha riempito gli occhi di meraviglia, opere che hanno permesso di sognare e di arrivare alla seconda stella a destra volando dritto fino al mattino.
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