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LimpostoreSono ormai più di due anni che sono nati i-FilmsOnline ed è arrivato il momento di presentare una nuova sezione, gli “editoriali”, un appuntamento (non solo mensile) che verterà su temi d’attualità cinematografica di ogni tipo, anche a richiesta dei lettori se saranno interessati e vorranno suggerirne. Il fine è quello di coinvolgere gli appassionati e di suscitare discussioni, polemiche, interessi che vadano oltre ai commenti legati a un semplice giudizio di un film o di una classifica.
Insomma, in attesa di vostri commenti e suggerimenti, con fatica e determinazione, proveremo anche noi ad alzare l’asticella giocando a fare la rivista specializzata.

Fatta la dovuta introduzione, in attesa di contributi più specifici, in qualche modo bisogna incominciare.
Si potrebbe comodamente parlare di Nymphomaniac, anticipando (o, visto che ormai quasi tutti sono già riusciti a vederlo, posticipando) le discussioni che da sempre ruotano attorno al nome di Lars von Trier e che non mancheranno di certo in seno al suo prossimo lavoro.
Forse però è più interessante guardarsi indietro, poiché questo (tentativo di) editoriale nasce al termine di uno dei mesi più scarsi, cinematograficamente parlando, degli ultimi anni.
In mezzo ai tanti titoli carenti usciti in marzo (salvo per Ida e pochissimi altri), a svettare è stato L’impostore di Bart Layton, presentato al Sundance 2012 e finalmente arrivato nelle sale italiane.
Un documentario? Sì, nell’accezione più ampia e (post-post) moderna possibile.
Layton è partito innanzitutto da una storia (vera) particolarmente affascinante e ormai del tutto nota. Ha intervistato i protagonisti (doc?) e ha ricostruito (fiction?) le parole (reali o fittizie?) dell’impostore con degli attori.
Tra verità e menzogna (già, proprio come il sottotitolo di F come falso di Orson Welles), il regista ha costruito uno dei thriller più angoscianti degli ultimi anni, capace di tenere incollati allo schermo fino al termine dei titoli di coda.

È certo che vedendo L’impostore si assiste a una struttura drammaturgica che, se non nuova, è quantomeno originale e coinvolgente: non è però un caso isolato.

 

Curiosamente, in questi primi tre mesi del 2014 sono stati distribuiti diversi “documentari” interessanti che sono riusciti a colpire per la grande forza emotiva messa in campo.
A gennaio The Unknown Known di Errol Morris (la ricerca socratica della verità, o dell’imprecisione lessicale), a febbraio The Square di Jehane Noujaim (un vero instant movie, mostrato nel suo farsi e ancora in progress).
Il (nuovo) documentario è diventato così un terreno sicuro, un’ancora di salvezza in quei mesi che sembrano offrire soltanto pochi stimoli e ancor meno interessi.
Forse è vero che, tra cinquant’anni, quando leggeremo le storie del cinema inerenti al nuovo millennio, arrivando agli anni ’10 il primo capitolo potrebbe proprio essere dedicato al cinema documentario e a tutto quello che gli ruota attorno.

Se poi (ri)pensiamo che l’anno scorso è arrivato nelle nostre sale The Act of Killing di Joshua Oppenheimer il gioco si fa ancor più interessante. Un “documentario” in cui gli ex assassini di un tempo (ri)mettono in scena (fiction) gli omicidi compiuti nel 1965 in Indonesia (realtà). E il dubbio che nelle loro teste tutto sia sempre stato vissuto come se si trattasse di un film da realizzare, è molto più di una semplice sensazione. Ma possiamo anche citare l’italiano Materia oscura di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti: un viaggio, muto e angosciante, alla scoperta degli orrori presenti in un luogo di guerra in tempo di pace, il Poligono del Salto di Quirra in Sardegna.

Insomma, gli esempi sono vari e i pareri critici possono essere differenti, ma alcuni elementi sono ormai agli atti: i documentari (etichetta omnicomprensiva e ormai pronta per essere ripensata) stanno alzando l’asticella. Il cinema di finzione riuscirà (ancora) a raggiungerla?

 

The Act of Killing

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