Il celebre autore francese Philppe Garrel insiste nella sua visione di cinema scarna e minimalista, racchiusa in un bianco e nero sempre puntuale ed elegante e corredata da un impianto sonoro di accompagnamento spesso invadente ma mai sopra le righe. The Salt of Tears è l’ennesimo tassello di un mosaico costruito anno dopo anno, in maniera omogenea e coerente, tanto che bastano davvero pochissime inquadrature per accorgersi che ci troviamo di fronte a un film firmato da questo regista. Perseguendo la politica degli autori tanto cara al cinema francese degli anni Sessanta, Garrel ne è uno dei più riconoscibili al giorno d’oggi.
Ciò che maggiormente sorprende è che, ancora dopo così tanti anni di attività, il regista sia in grado di dar vita a film che tematizzano e prendono spunto dalla medesima matrice: l’amore giovanile. Fugace, imprevedibile, incomprensibile, vivo, pulsante, il sentimento nei più giovani attira lo sguardo indagatore dell’autore francese che ogni volta osserva senza giudicare, senza schierarsi. The Salt of Tears non è da meno, tuttavia il film potrebbe riscontrare il gusto del pubblico a seconda di un dettaglio lieve me importantissimo. Gli amanti del regista, infatti, ne ritroveranno il gusto, il tatto delicato e tutte le certezze che vanno cercando da un simile lavoro. Chi invece è meno interessato alla filmografia del francese o magari non lo conosce da vicino, probabilmente non riuscirà a entrare in sintonia con il lungometraggio, trovandolo datato, poco concreto e inutilmente ridondante (nonostante la sua esigua durata). Io, purtroppo, faccio parte del secondo gruppo.
Voto: 2/4