Decision to Leave di Park Chan-wook, la recensione
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- Scritto da Valeria Morini
Se la sua Trilogia della Vendetta, con Oldboy in primis, è un cult assoluto, il resto della filmografia di Park Chan-wook non sembra godere della stessa popolarità, almeno in Italia dove il suo nuovo film Decision to Leave arriva in sala dopo quasi un anno dalla presentazione al Festival di Cannes, dove peraltro ha ricevuto il premio per la miglior regia. Non è quindi un caso che si sia voluto rimediare nei confronti del regista coreano con una rassegna nazionale sulla sua filmografia a supporto dell'uscita del film che, pur essendo stato accolto da recensioni non unanimi, conferma ancora una volta come Park abbia un talento e un gusto nella messa in scena che lo rendono tra i registi di culto contemporanei.
Partiamo intanto dai difetti di questo Decision to Leave, che può respingere qualche spettatore spaventato dai 138 minuti di durata (comunque decisamente scorrevoli). La trama dell'opera numero 11 di Park, arrivata ben 6 anni dopo l'ultimo film Mademoiselle e quasi una decina dopo l'unico film in inglese, il non del tutto convincente Stoker, è a dir poco farraginosa. C'è un ispettore di polizia dall'intuito geniale che investiga sulla strana morte di un uomo di mezza età caduto durante una scalata: incidente, suicidio o è stata la giovane moglie cinese, peraltro vittima di violenza domestica? Dal dubbio del poliziotto, che pian piano inizia a provare nei confronti della donna un sentimento di attrazione sempre più vicino all'amore, s'innesca un intreccio complicatissimo che mescola due dei generi più importanti del cinema classico: il noir poliziesco e il mélo.
Qual è la verità sull'enigmatica protagonista, interpretata dalla Tang Wei già interprete magnetica in Lussuria e Blackhat? E dove si spingerà l'ispettore, travolto dai suoi sentimenti? Ovviamente ci facciamo un'idea dal primo minuto ma il regista si diverte a regalare infiniti colpi di scena, come pure sottotrame, depistaggi e novità inattese, che, insieme al montaggio frenetico, contribuiscono a rendere Decision to Leave una sorta di dedalo in cui lo spettatore finisce inevitabilmente per perdersi, ritrovarsi e perdersi ancora, più volte. Al di là della sua natura complessa e della sua struttura volutamente e forse sin troppo labirintica, il film di Park è uno di quei titoli che in un asfittico panorama cinematografico fatto di continui ricicciamenti delle stesse idee ci riconcilia con la settima arte.
Intendiamoci, anche Decision to Leave è un film vistosamente derivativo, a partire dall'atmosfera hitchcockiana che si respira anche grazie a una colonna sonora che riecheggia Bernard Hermann (in realtà è dello straordinario Cho Young-wuk, sodale di Park che si fa aiutare anche dalla suggestiva Quinta sinfonia di Mahler). Ma la freschezza con cui il regista si diverte a giocare e a rielaborare le forme del noir, fondendole con un romanticismo disperato e persino con momenti di leggerezza, è uno di quei motivi che ci fanno ancora provare emozioni forti nell'esperienza del grande schermo.
Classico nella struttura eppure straordinariamente moderno e personale nella forma, con una regia di cristallino talento, il film di Park riscrive la figura della femme fatale con un personaggio femminile multistrato, ci regala un grande antieroe (Park Hae-il, molto bravo) ed è eccezionalmente preciso e attento ai dettagli: pensiamo alle geometrie visive di una scenografia curata sino al minimo particolare, allo sguardo sul dominio della tecnologia, al forte simbolismo che gioca ad esempio sull'elemento della vertigine così come su quello del doppio (due donne, due mariti, due cellulari, due delitti, ecc). Sensualissimo a dispetto dell'assenza di erotismo esplicito, godurioso per ogni cinefilo (ma anche lo spettatore medio, pazientando sulla durata, dovrebbe dargli una chance), Decision to Leave è un'opera che guarda ai classici con spirito contemporaneo: non siamo ancora sicuri che tutto torni nella trama - una seconda visione è d'obbligo, per verificare - ma è un film di una generosità indubbia e appagante, un saggio di regia e una gioia per gli occhi.
Voto: 3/4
Aftersun di Charlotte Wells, la recensione
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Ed eccoci alle Nomination per Gli Oscar, edizione numero 95. L'appuntamento è per il 12 marzo a Los Angeles (e ovviamente in tv, anche in Italia su Sky), dove sapremo chi vincerà gli Academy Awards. C'è anche un pochino d'Italia tra queste candidature: Alice Rorhwacher regista (produce Alfonso Cuaron) del corto e pupille e Aldo Signoretti, nominato per trucco e hair styling di Elvis. Clamoroso flop per Babylon (incompreso in America) con solo due nomination, mentre The Fabelmans e Gli spiriti dell'isola, ma anche Everything Everywhere All at Once, si giocano i premi più importanti.
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